Allenare il carico cognitivo durante gli allenamenti: come e quando.
di Massimo Lucchesi
Le regole e i presupposti per programmare sessioni di allenamento efficaci e coinvolgenti.
La mente umana ha dei limiti per ciò che concerne la capacità di elaborare le informazioni e memorizzarle.
Per far si che ci sia apprendimento, le informazioni devono essere mantenute nella memoria di lavoro finché non vengono sufficientemente elaborate e immagazzinate nella memoria a lungo termine.
Il passaggio delle informazioni dalla memoria di lavoro (che le elabora) a quella a lungo termine (che le acquisisce), dipende dall'accuratezza del processo didattico.
Affinché questo processo si verifichi nei tempi e nei modi più opportuni è fondamentale ottimizzare il carico cognitivo per evitare un sovraccarico o un carico eccessivamente ridotto.
Sovraccaricare la mente con attività aggiuntive che non contribuiscono direttamente all'apprendimento non è sensato, così come l'apprendimento non si verifica o si verifica solo in minima parte quando le informazioni da immagazzinare sono già acquisite.
Il carico cognitivo.
Il carico cognitivo è relazionato alla quantità di informazioni che la memoria di lavoro può elaborare in uno stesso momento, durante lo svolgimento di una specifiche attività.
Il carico cognitivo varia e dipende dall'interrelazione fra: a) la complessità dei contenuti, b) l'expertise dell'allievo, c) il contesto di apprendimento.
Secondo lo psicologo John Sweller che nel 1991 ha elaborato la teoria "Cogntive load", il carico cognitivo può essere suddiviso in tre differenti componenti: a) intrinseco, b) estraneo, c) pertinente.
Il carico intrinseco è determinato dalla complessità dell'informazione che deve essere appresa e per questa ragione il carico cambia in funzione di ciò che un allievo già conosce e sa fare.
Il carico estraneo è invece quello che disturba l'apprendimento ed è determinato da una carenza nel modo di progettare il trasferimento (e l'acquisizione) delle informazioni.
All'opposto, il carico cognitivo pertinente, è associato ai processi che favoriscono il conseguimento e la memorizzazione delle informazioni.
Evidenziati i criteri che, in linea generale, influiscono sul carico cognitivo e conseguentemente sull'apprendimento, diventa importante capire come trasferire queste conoscenze in ambito calcistico.
Per ciò che concerne la didattica, la domanda fondamentale è: quali sono i parametri che contribuiscono a ottimizzare il carico cognitivo di una determinata esercitazione calcistica?
Il primo aspetto è senza ombra di dubbio legato alla "complessità".
Per il calciatore una esercitazione tecnico-tattica è complessa quando:
richiede grande attenzione (ad esempio una attivazione tecnico-tattica con molte "stazioni" o una esercitazione nuova, con la quale ci si cimenta per la prima volta);
richiede scelte e tempi di esecuzione rapidi (un gioco di possesso in spazi molto ristretti è più "intenso" rispetto allo stesso esercizio effettuato in spazi più ampi);
l'esecuzione tecnica richiesta dall'esercizio è "importante" (un gioco di possesso in spazi ampi aumenta la distanza tra i giocatori e tutto ciò ha ripercussioni sulla lunghezza del passaggio e di conseguenza sul gesto tecnico).
Un ulteriore aspetto che incide sul carico cognitivo è legato alla freschezza atletica (o meno) del calciatore.
Lo stesso esercizio effettuato ad inizio o fine seduta può avere un carico cognitivo diverso.
Effettuare scelte in condizioni fisiche ottimali è infatti più semplice che non doverle fare in stato di fatica.
Un terzo aspetto è invece correlato con lo stato psicologico del giocatore e con l'instaurarsi (o meno) dei rapporti socio-affettivi che eventualmente derivano dallo svolgimento della proposta.
Un esercizio in cui il giocatore allena il gesto tecnico del passaggio e della ricezione attraverso la pratica individuale contro un muro non determina nessuna interazione con il compagno e di conseguenza l'impatto socio-affettivo sul carico cognitivo è nullo.
Allo stresso tempo però tale proposta può risultare noiosa e ripetitiva con un conseguente calo dell'attenzione che si riflette su un apprendimento limitato a causa di un carico cognitivo complessivamente troppo basso.
Effettuare una esercitazione situazionale e rapportarsi con dei compagni ha invece un impatto psicologico maggiore che può favorire l'apprendimento a meno di non imbattersi in situazioni straordinarie (ad esempio un giocatore della Primavera piuttosto emotivo che è chiamato ad allenarsi in prima squadra al fianco di giocatori famosi).
Anche lo stato psicologico ha naturalmente la sua (grande) importanza. Un giocatore motivato, che è al centro del progetto del club, è sicuramente più "allenabile" rispetto al giocatore che si trova ai margini o che risente dei suoi problemi personali.
Infine come ultimo, ma non meno importante aspetto da considerare, è relativo all'avere o meno riposato adeguatamente e/o essere nella giusta condizione mentale. Aver dormito poco e male così come svolgere un allenamento al termine di una intensa giornata lavorativa davanti al PC si ripercuote su quella che è la resa di una determinata proposta didattica, nella quale la richiesta di attenzione è consistente.
In sintesi, quando l'allenatore prepara una esercitazione, deve considerare:
1) la complessità delle informazioni da elaborare rapportate alle competenze degli allievi (carico cognitivo intrinseco),
2) l'eventuale presenza di tutte quelle condizioni (legate ad esempio a ritmo, fatica, spazi, distanze, ripetitività, mutazione, innovazione, rapporti sociali, ecc.) che possono ostacolare e inibire l'apprendimento (carico cognitivo estraneo).
3) Il carico cognitivo pertinente ovvero lo sforzo effettivo e reale richiesto dall'esercizio in sé.
Il carico cognitivo nella programmazione settimanale.
Alcuni allenatori pensano che sia opportuno tenere basso il carico cognitivo a inizio settimana, attraverso lo svolgimento di esercizi a modesta o moderata intensità, e di innalzare le richieste nei giorni antecedenti alla partita, per consentire ai giocatori e alla squadra di "entrare a regime".
Altri allenatori preferiscono invece procedere in maniera inversa: impegnare mentalmente i giocatori a inizio settimana per poi "liberarli" nell'imminenza del match. I sostenitori di quest'ultima tesi sostengono che i costi emotivi dell'attesa della partita (che agiscono in background nel cervello, "lavorando" in incognito ) hanno un peso sui giocatori e vanno considerati.
Indipendentemente dall'ideologia "sposata" dall'allenatore, la gestione del carico cognitivo all'interno della settimana è diversa in relazione alla categoria allenata.
Un conto è allenare un gruppo di ragazzini, un altro è guidare una squadra che si allena la sera, un altro ancora è allenare una squadra professionista, specie se si è soggetti a lunghe trasferte che possono compromettere il riposo.
E' chiaro che in funzione della categoria il tecnico dovrà fare le opportune valutazioni non solo sul carico cognitivo ma, in particolare, sull'intero processo didattico. Questo vale sia per la settimana ma anche per la singola sessione di allenamento.
Un aspetto molto importante, da tenere in considerazione e che spesso non viene adeguatamente osservato, riguarda il carico cognitivo di ogni singola proposta.
Spesso
si ritiene che sulla mente abbia un peso maggiore una esercitazione
tecnico-tattica in spazi ristretti piuttosto che una sequenza di
passaggi e combinazioni all'interno di un rombo o un rettangolo. In
realtà per una squadra non abituata a fare un certo tipo di lavoro
l'attenzione che deve essere riposta sulla sequenza tecnica potrebbe
essere superiore a quella che invece serve per attuare un possesso
palla in spazi ristretti.